Contro la violenza sulle donne c’è una sola soluzione: la cultura del rispetto

Il femminicidio si può prevenire. E c’è chi lavora intensamente perché una nuova cultura delle relazioni improntata sull’educazione alla parità di genere si sviluppi sempre di più. L’associazione Global Humanitaria Italia Onlus circa un anno fa ha creato il progetto «La violenza psicologica uccide. Fermiamola ora!», con un numero di telefono antiviolenza psicologica (848 808 838) che mette a disposizione delle vittime tutor esperti e specialisti come psicologi, avvocati e psicoterapeuti. L’obiettivo è creare un network di sostegno (dedicato a donne, uomini e bambini) sempre più esteso a partire da Lombardia, Piemonte e Liguria. L’opuscolo dell’associazione lo scrive a chiare lettere: «Spesso la violenza fisica e l’omicidio sono solo l’ultimo stadio di un percorso che ha origine sempre dalla violenza psicologica. Ed è da qui che si deve partire se si vuole fermare un fenomeno in continua crescita».

 

Coautrice del progetto, la criminologa, consulente, ricercatrice e docente di psicologia Cinzia Mammoliti, autrice tra gli altri dei libri I serial killer dell’anima e I manipolatori sono tra noi: come riconoscerli, come evitarli e come difenderci da loro. Cinzia è tra i massimi esperti nazionali in materia di violenza psicologica e manipolazione relazionale, ecco l’intervista in cui ci racconta la sua esperienza e ci dà le chiavi per comprendere e gestire meglio queste situazioni, che (spesso celate dietro una patina di normalità) si manifestano in tutti i contesti sociali.
Come sei arrivata alla decisione di occuparti di violenza? In quale momento hai deciso che quella era la tua strada?
Dopo aver lavorato per diversi anni nell’educativa, col disagio di minori e adulti, osservando da vicino le dinamiche endofamiliari e la sofferenza che ne può derivare. Ma non solo le famiglie disagiate arrecano sofferenza agli individui. Anche le altre. Ho capito nel corso degli anni che le relazioni più violente riguardano le persone tra loro più vicine e il senso di giustizia innato che ho mi ha portata a schierarmi e lavorare per i più deboli e meno tutelati.
Qual è lo schema relazionale più frequente che hai incontrato con la tua attività?
Quello della dipendenza affettiva. Un/a maltrattante coi tratti tipici del manipolatore relazionale (e cioè arroganza, bisogno di controllo della relazione, menzogna, mancanza di empatia) e una vittima che si lega al soggetto disturbato e disturbante in maniera ossessiva. I due entrano in una dinamica malata e perversa che lascia perennemente la vittima depauperata energeticamente e spesso talmente traumatizzata da sviluppare problematiche serie per la sua salute.
Esiste una caratteristica particolare tipica di tutte le vittime?
Una caratteristica tipica è l’empatia. La vittima è portata a restare nella relazione disfunzionale in cui dà tutta se stessa in cambio di briciole perché tende a giustificare sempre il proprio persecutore. Nella versione più estrema, nei casi di iper empatia entriamo nella vera e propria sindrome della crocerossina, ossia «Io ti salverò».
L’empatia ora va di moda, viene molto spinta come valore sano da coltivare, io penso che vada però calibrata e sicuramente chi è portato ad essere empatico fa molta fatica a «dosarla» nel modo giusto, che ne pensi? Ci sono dei modi per non essere *troppo* empatici ed evitare che altri se ne approfittino?
Praticando un pò di sana auto-consapevolezza, prendendo contatto con i propri limiti e imparando a mettere paletti e confini. Sviluppando un sano egoismo che porti a occuparsi in primis di sé e del proprio benessere emotivo e poi degli altri. Laddove questa auto-consapevolezza non si dovesse riuscire a praticare da soli suggerisco un supporto terapeutico.

 

(continua….)

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