Loris, la criminologa Mammoliti:

“Così si può rimuovere un delitto”: nella mente della madre di Loris

MARTEDÌ, 9 DICEMBRE 2014 – 15:55:00

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Di Maria Carla Rota
@MariaCarlaRota

“Quando una madre perde un figlio, è normale che esca di senno. Ma quando una madre perde un figlio per mano propria, c’è qualcosa nella mente che normale non è. C’è quasi sempre uno stato psichico fortemente alterato dietro una mamma che uccide il proprio figlio”. Così la criminologa Cinzia Mammoliti, autrice della rubrica “Coppie di… fato“, commenta con Affaritaliani.it il caso del piccolo Loris Stival, trovato morto dieci giorni fa in un canale. Da ieri è in stato di fermo la madre, Veronica Panarello, accusata di omicidio. Secondo gli inquirenti, ci sono prove pesantissime a suo carico. Lei nega. Un delitto che per molti versi ricorda un altro grande caso di cronaca nera italiana, quello di Annamaria Franzoni.

In attesa dei prossimi sviluppi giudiziari (il gip dovrà decidere se convalidare o meno il fermo), in molti fanno il paragone con il delitto di Cogne e tornano a parlare di rimozione di un fatto dalla memoria. “Il comportamento di Veronica Panarello, che in questi giorni abbiamo visto alternare stati catatonici a reazioni molto forti, potrebbe far pensare a una possibile rimozione. Un meccanismo psicologico di difesa, questo, che scatta di fronte a un trauma. Si è convinti fino in fondo che nulla sia successo, per questo non si crolla negli interrogatori”.

La madre di Loris si è però più volte contraddetta di fronte agli inquirenti: “Questo in realtà potrebbe far pensare anche alla negazione di un fatto, meccanismo diverso dalla rimozione: chi rimuove, infatti, è lineare nel ricostruire i fatti”. Un altro comportamento enigmatico da parte di Veronica Panarello è la consegna delle fascette di plastica alle maestre, due giorni dopo il ritrovamento del cadavere del bimbo: “Sembra quasi un desiderio inconscio di farsi scoprire. Un errore così grossolano richiama alla mente il comportamento del colpevole che torna sul luogo del delitto”.

Una cosa, per la criminologa Mammoliti, è certa: “Una madre che uccide il proprio figlio quasi in nessun caso viene dichiarata capace di intendere e di volere”.

Ma quanto può aver influito il passato difficile della donna, che oggi emerge da tanti racconti? Il vero padre scoperto a 14 anni, un rapporto burrascoso con una madre che ha cinque figli con tre uomini diversi, un figlio arrivato forse troppo presto… “Tanto dolore e tanti traumi dovuti a una famiglia d’origine difficile sono stati probabilmente trasferiti sul nuovo nucleo familiare, in particolare sul primo figlio, nato quando Veronica Panarello aveva solo 17 anni. E soltanto un anno prima aveva tentato il suicidio o comunque aveva cercato di richiamare l’attenzione su di sé facendosi del male. Di fronte a queste situazioni. più che fissarci ad accusare il colpevole, dovremmo pensare se qualcosa è stato fatto per questa donna in difficoltà e per la sua famiglia. Quale tessuto sociale c’era intorno a lei? Era mai stata presa in carico da qualcuno? Al momento nessuno ha parlato di assistenza da parte di psicologi o servizi sociali, per cui supponiamo che non ci fosse nessun tipo di supporto. Ma i segnali del suo forte disagio interiore erano già emersi. E lasciare sola una donna fragile di fronte a una gravidanza è una negligenza grave da parte delle istituzioni e della società”.